Piano Università: dall’Europa 500 milioni per la ricerca
Come noto l’Italia non è di certo ai primi posti al mondo per gli incentivi a favore della ricerca. Anzi vent’anni di tagli economici e di politiche ministeriali sbagliate hanno ridotto la ricerca e l’istruzione in cancrena. Basti pensare che negli ultimi quattro anni l’università italiana ha perso un miliardo di euro su 7,5 disponibili e 12 mila ricercatori, di cui solo duemila sono stati rimpiazzati. Inoltre in Italia si contano soltanto 2,7 ricercatori ogni 1000 lavoratori, molto al di sotto della media europea di 5,4 , nonostante i giovani studiosi italiani ricoprono i primi posti al mondo per numero e importanza di pubblicazioni scientifiche.
Tutti questi dati negativi hanno dato vita ad una vera e propria fuga di cervelli che ha visto scappare negli ultimi decenni migliaia di giovani menti italiane verso Paesi stranieri con politiche atte ad incentivare la ricerca nei vari campi scientifici.
Ma la svolta al tutto potrebbe arrivare proprio in questo nuovo anno, in quanto l’Italia ha la possibilità di sfruttare il turno di presidenza all’Unione Europea per far partire un progetto ambizioso: riuscire a stanziare 500 milioni di euro per la ricerca entro il 2020.
Il piano prenderà il nome di Horizon 2020 che prevede di stanziare 15 miliardi per il biennio 2014-2015, ed 80 entro il 2020, tutti rivolti ad Università, enti di ricerca ed industrie degli stati membri. Dipenderà all’Italia quindi il riuscire ad aggiudicarsi un importante fetta di questo patrimonio che potrebbe rilanciare la nostra istruzione e garantire occupazione a migliaia di italiani. Horizon 2020 infatti è uno dei progetti più ambiziosi dell’Unione Europea, che negli ultimi anni ha diminuito del 5% i finanziamenti nei confronti dei progetti italiani.
Come dovrà comportarsi quindi l’Italia davanti a quest’importantissima opportunità di rilancio?
Secondo il ministro Carrozza il nostro Paese deve prima puntare su una politica di “empowerment” , ovvero rafforzare la ricerca e far assumere ai ricercatori figure di leadership. Inoltre bisogna anche puntare all’ringiovanimento del personale, procedendo con un turnover che potrà dare la possibilità alle giovani menti di emergere nel loro campo di ricerca.
Altro tassello chiave sarà il riuscire a richiamare i “cervelli in fuga”, motivo per cui il MIUR garantirà un cofinanziamento agli atenei che decidono di stabilizzare studiosi stranieri e italiani che operano all’estero, assumendoli come professori associati e abilitandoli alla docenza nel triennio di durata del loro contratto.
Ci si aspetta anche finanziamenti per quanto riguarda il Firb (Fondo per gli investimenti della ricerca di base dedicato ai giovani ricercatori), dove verranno assegnati 50 milioni l’anno per garantire una sorta di alleanza scuola-lavoro, incentivando parallelamente i campi della ricerca e dell’industria.
C’è scetticismo fra gli scienziati italiani per l’ambiziosità di questo progetto, i quali credono che questa iniezione di risorse non basterà per risollevare una situazione ad oggi disastrata. Lo scienziato italiano Garattini analizzando la situazione attuale non crede ad un possibile miracolo tricolore con i 500 milioni dell’UE.
I fondi destinati alla ricerca biomedica ad esempio, campo in cui il nostro Paese vanta diverse eccellenze, sono ridotti al minimo e nella maggior parte dei casi ha causato il blocco di diversi progetti innovativi.
A parere dello scienziato l’Italia dovrebbe arrivare ad investire in ricerca il 3% del Pil entro il 2020, come da standard europeo, creando 3,7 milionidi nuovi posti di lavoro nei settori dell’economia e della società, incrementando di conseguenza di 800 miliardi il Pil nazionale.
Oltre al richiamo dei cervelli in Italia bisogna iniziare a richiamare i grandi investitori, che ormai da anni non guardano più all’Italia, tanto da non avere nessuna multinazionale che abbia laboratori di ricerca nel nostro Paese.
Quindi 500 milioni, per quanto possano a vista sembrar tanti, sono una quantità infinitesima per il fabbisogno della ricerca ma segnano comunque un passo importante per il settore istruzione italiano. Oggigiorno, infatti, prima dei fondi serve un rinnovamento culturale in Italia e il ricevere anche un piccolo incentivo
può significare tanto, soprattutto dal punto di vista della mentalità e dell’approccio a certe tematiche. Bisogna quindi che i nostri giovani studenti non si sentano abbandonati dal proprio Stato una volta finiti gli studi ma bensì accrescano fiduciosi la loro cultura, consapevoli del fatto che potranno un domani contribuire in prima persona al miglioramento della loro nazione.
Filippo Leto