Vi presento la Cucucciuta
Non so quanti amici si possono ricordare che “La sostanza dei poveri” si chiude con queste brevi considerazioni: «È passato da poco a miglior vita un altro villafratese che negli anni cinquanta andava a caccia di conigli senza fucile né cane, senza furetto. E non rincasava mai con il carniere vuoto, se carniere si poteva chiamare il panaru, panciuto contenitore di canne e bacchette d’oleastro da lui stesso intrecciate. Male che gli andasse, nella bella stagione il Nostro rimediava sempre un saittunazzu di un rotulu (giovane coniglio selvatico dal peso di circa 800 grammi), tirato fuori dal nascondiglio, e qualche mamma di cuccuciuti (cappellaccia) catturata mentre covava le uova nel nido. Ignoro come facesse quell’uomo-cirneco a individuare le tane di coniglio; e mi è ancora più diffìcile immaginare la tecnica da lui usata per metter le grinfie sulla preda, considerato che quelle pavide bestiole amano tenersi a debita distanza dalla bocca del nascondiglio. Conosco invece quella per catturare le mamme di cucucciuti, avendola io stesso più volte sperimentata per gioco da bambino. I cucucciuti, si sa, nidificano sulla nuda terra, come tante altre specie passariformi. Individuatone il nido, è necessario nascondersi nei pressi, in attesa che vi si aggiucchi la mamma. Dopo qualche minuto, basta avviarsi verso il nido battendo forte i piedi per trovarvi mamma cucucciuta più che mai aggiuccata, il ciuffo abbassato, appiattita sulla covata per proteggerla dalla minaccia esterna. Con uno scatto misurato, catturala è, appunto, un gioco da bambini. Bambini di altri tempi, però, monelli di campagna espressi da un mondo dove giocare era anche un modo di allenarsi a sopravvivere». Ma, con i tempi che corrono, con tanti ragazzi senza lavoro e tanti lavoratori licenziati a causa della crisi economica pesantemente aggravata dal parassitismo tangentizio e mafioso, non è da escludere che ci sia presto bisogno di ritornare ai vecchi metodi di sopravvivenza.
E siccome quasi nessuno riconosce più la cucucciuta, il minimo che posso fare è di presentarla alle nuove generazioni ma non senza raccomandare loro d’imparare l’arte per metterla da parte. Conosciuta in Sicilia come cucucciuta, la cappellaccia (Galerida cristata (LINNAEUS, 1758)) è un uccello gregario della famiglia degli Alaudidi presente in tutto il vecchio mondo, dall’Europa all’Africa, all’Asia. Leggermente più grande dell’allodola comune, si distingue da questa per il piumaggio più grigio e una cresta più grande che resta visibile anche quando è ripiegata. Ha un becco appuntito e con la parte inferiore piatta. La parte inferiore delle ali e rossiccia. Lunghezza: 17 cm. Apertura alare: da 29 a 34 cm. Peso: da 35 a 45 g. Il canto è melodioso ma monotono. La cappellaccia canta sia in volo che a terra con verso ripetitivo di 3 note con toni bassi e alti. Si nutre di semi e insetti, mentre i primi prevalgono nella stagione estiva i secondi permettono alla specie di superare la stagione fredda. Di solito resta nella stessa zona per tutto l’anno, nidifica tra aprile e giugno. Costruisce il nido in piena terra con 4 o 6 uova (22 x 17 mm), di colore variabile tra il giallo e il bianco rossiccio, macchiettato di grigio e giallo-marrone. Nidifica due o tre volte all’anno. La cova fatta sia dalla femmina che dal maschio, dura 12-13 giorni. I pulcini sono coperti da una lunga peluria giallo paglia. Dopo 10 giorni abbandonano il nido ma cominciano a volare solo dopo un’altra decina di giorni.
Palermo 17 maggio 2014