Eterni ritorni nella commemorazioni dei defunti
di Angelo Cucco
Quasi un ossimoro, u cannistru esplode di colori e fragranze nel giorno in cui si commemorano i defunti. La sua estrosa presenza è al tempo stesso un’offerta e un dono, sorpresa per i più piccoli e memento per gli adulti.
Storie e leggende si intrecciano come i giunchi, accolgono credenze ataviche e storie familiari, connettono l’uomo agli uomini ricordandogli le sue radici. Si narra che, per un giorno, la membrana che separa i mondi si dissolva consentendo il ritorno sulla terra ai morti. Il loro vivificante passaggio, il loro riapparire, è preludio di prosperità. Come la primavera che consentirà di far rifiorire ciò che l’inverno copre di neve, i morti ritornano tra i viventi dalle loro eterne dimore anche se quasi nessuno potrà rivederli.
“Hannu a caminari i morti ppi campari i vivi” oltre la leggenda per tenere buoni i bambini e per costringerli a dormire, vi è una credenza diffusa nel loro presentificarsi che neanche due millenni di cristianesimo sono riusciti ad addomesticare del tutto. Gli adulti lo sanno: nessun defunto torna per grattare i piedi ai fanciulli né porta “pup’a cena” e martorana… quelli sono solo simboli, segni di ciò che realmente il loro ritorno produce: ” e na sta vita china di guai, cosi di morti un ni mancassiru mai“. Ancestrali pensieri si sono legati al messaggio evangelico, le anime hanno cambiato la loro dimora ma continuano ad emergere dalla terra e noi continuiamo ad ingerirle simbolicamente nelle ossa di muortu. Per loro si lascia qualcosa da mangiare, qualcosa che li faccia sentire accolti, sperando che siano benevoli e benedicano; a loro, attraverso i bimbi saranno offerti doni e dolciumi sapientemente disposti sulla tavola. Lo stupore dei piccoli sarà il loro stupore in un gioco concatenato di generazioni. Sono spiriti altri che si fanno immanenti epifanie di mondi ultraterreni, hanno bisogno dei viventi per essere significati, per ritrovare spazio nel mondo, non cercano abbracci né potranno elargirne, sono solo esempio .
E se i bambini credono che porteranno regali e dolci, gli adulti fanno memoria e riflettono. La festa dei morti a Palermo e in alcuni altri luoghi di Sicilia è un magnifico ricettacolo sincretico in cui fanno bella mostra di sé le lacrime e i sorrisi, i colori e il lutto, il profumo della martorana e l’intensa fragranza dei crisantemi. U cannistru è l’immagine concreta di questo gioco di secoli, di questa percezione di un eterno ritorno: consente di riappropriarci della nostra identità, del nostro passato. E mentre a pupa a cena sorveglia la notturna esposizione, altre storie si narrano attorno ad essa: racconti di monache che volevano far rifiorire il loro giardino in autunno, di Reginelle che hanno mutato il loro originale nome per compiacere una regina, di tetù e catalani, di cotognata e biscotti, di melograni e frutta secca. Ogni cosa ha un posto nel peregrinare di questo rocambolesco racconto, ha il suo posto solo così u cannistru può custodire il profumo del tempo, i colori del ricordo, la fragrante armonia dell’eterno racchiuso, per una volta, nel traboccante perimetro di un cesto.