Lo scoppio di una bomba accesa da un decennio
di Filippo Leto
Chi accendendo la tv appena sveglio, ascoltando la radio mentre andava a lavoro o chi semplicemente ha guardato il proprio smartphone con gli occhi ancora semichiusi, giovedì mattina ha scoperto che le forze armate russe avevano oltrepassato il confine ucraino. La notizia è stata una doccia fredda, perché di fatto ha spazzato dalla mente e dal cuore di ognuno di noi la speranza che tutto si potesse risolvere in maniera diplomatica. Vengono trasmesse immagini di carri armati, aerei, lanci di missili e gente che si divide fra chi scappa e chi imbraccia un fucile per provare a contrastare l’avanzata di un esercito esageratamente più grande e più forte del proprio.
In questo articolo proverò a fare un brevissimo riassunto sulla storia di questo conflitto, poiché le bombe che oggigiorno stanno scoppiando, sono state innescate diversi anni fa.
La Repubblica Ucraina esiste per come la conosciamo oggi dal 1991, quando a seguito dello scioglimento dell’URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche), ottenne l’indipendenza insieme ad altri 14 paesi del blocco sovietico. Tuttavia, non è mai del tutto cessata una forte influenza russa su di essa, tanto che Mosca ha sempre attuato una politica di controllo sull’ex-repubblica socialista attraverso accordi politici e commerciali e facendo leva sul marcato sentimento filorusso ancora vivo in alcune regioni ucraine.
La mania del controllo da parte della Russia nasce dal timore che l’Ucraina possa avvicinarsi alle politiche dell’occidente e che in futuro possa aderire ad organizzazioni quali l’Unione Europea, o ancor peggio alla NATO, che avvicinerebbe l’influenza degli Stati Uniti al Mar Nero e ai confini russi. La Repubblica Federale Russa ha sempre guardato al Mar Nero come un choke point strategico, da una parte per il mantenimento delle basi militari che ospitano la Black Sea Fleet (flotta di unità navali e sommergibili russi dislocati tra i porti di Sebastopoli, Novorossijsk e Taganroge) e dall’altra per esercitare il controllo sulle riserve di gas provenienti dai giacimenti sottomarini.
Un primo punto di rottura tra le due nazioni avviene quando nel 2004 viene eletto come presidente ucraino Viktor Juščenko, sconfiggendo ai voti il candidato filo-russo Viktor Yanukovich. La politica di Juščenko infatti, ha incrementato la cooperazione ucraina con la NATO, tanto da inviare alcuni contingenti militari a supporto delle missioni NATO in Afghanistan e Kosovo. Una svolta avviene quando nel 2010 Yanukovich riesce ad essere eletto presidente e per il governo di Mosca si configura l’occasione per recuperare l’influenza che aveva perso nel mandato precedente. Vengono fatte pressioni per ottenere nuovamente la concessione di utilizzo del porto militare di Sebastopoli per le navi militari russe e sulla rinuncia alla firma dell’accordo di vicinanza con l’Unione Europea, minacciandone pesanti ripercussioni economiche.
Le pressioni russe sul presidente hanno funzionato, tanto che nel novembre 2013 Yanukovich fa marcia indietro sull’accordo che avrebbe avvicinato l’Ucraina economicamente e politicamente all’UE. Tuttavia, le conseguenze di questa rinuncia andarono ben oltre gli scenari immaginati da Mosca e Yanukovich stesso. In tutto il Paese si animarono una serie di proteste sempre più violente (movimento che successivamente prese il nome di Euromaidan) e che costrinsero il parlamento ucraino a destituire Yanukovich, che ottenne asilo politico proprio a Mosca. Molti cittadini ucraini, in particolare quelli delle regioni orientali e della Crimea, furono contrari a questa decisione, e in generale al movimento di protesta, soprattutto a seguito di un disegno di legge adottato il 23 febbraio 2014 dal parlamento ucraino che abrogava la legge a sostegno delle lingue minoritarie nel Paese. La nuova legge, infatti, prevedeva che la lingua russa, parlata da circa il 30% della popolazione, non poteva più essere utilizzata in tribunali, scuole e altre istituzioni governative, rendendo di fatto l’ucraino l’unica lingua di stato. Il 1° marzo, la legge fu bloccata dal presidente ad interim Oleksandr Turčynov per tentare di placare gli animi nel paese, ma la spaccatura fra le due parti della popolazione era ormai insanabile. In Crimea iniziarono delle contro-proteste che includevano anche la presenza di militari armati che non mostravano distintivi di nazionalità e che vennero ribattezzati dai media “persone gentili” o “omini verdi”. Dopo l’occupazione del parlamento della Crimea e delle altre strutture principali della regione, fu indotto un referendum per la secessione della penisola dall’Ucraina. Il referendum si tenne il 16 marzo e vide la vittoria del “si” al 95% e la successiva annessione (seppur non riconosciuta dalla maggioranza della comunità internazionale) della Crimea alla Federazione Russa. Il governo russo inviò un contingente militare stabile in Crimea e iniziò a monitorare gli altri movimenti separatisti negli oblast (24 regioni amministrative in cui è suddivisa l’Ucraina) sul confine orientale. Nello stesso mese di marzo, infatti, nella regione del Donbass, e in particolare negli oblast’ di Donetsk e Luanshk, proteste analoghe come quelle avvenute in Crimea, portarono all’autoproclamazione delle repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk e che assunsero la forma di un conflitto vero e proprio tra forze separatiste filo-russe e l’esercito ucraino.
Un conflitto che sarà noto come “guerra del Donbass”, iniziato ufficialmente il 6 aprile 2014 con l’occupazione di alcuni palazzi governativi della regione da parte di separatisti filo-russi e che a distanza di 7 anni ha innescato un conflitto di proporzioni ancora maggiori. L’autodeterminazione delle due repubbliche del Dombass e il loro riconoscimento da parte della Federazione Russa, possono quindi essere considerati il “casus belli” per riaccendere un conflitto, che seppur a tratti dormiente, non ha mai smesso di spargere sangue.
Nei prossimi articoli tratteremo altri aspetti di questo conflitto e vi invitiamo attraverso i social a farci sapere se vi sono aspetti particolari o curiosità che vi piacerebbe approfondire. Ci uniamo come redazione al dolore di quanti, indifferentemente dalla nazionalità, stanno soffrendo per una guerra dalla quale come sempre ne uscirà sconfitta l’intera umanità.
Ottima disamina della situazione Ucraina. Per meglio comprendere la situazione, bisogna però sforzarsi di avere un approccio senza presunzioni “democratiche” perché i limiti li abbiamo anche noi occidentali.
Ovviamente vanno considerati tutti i limiti di Putin, cosa che per troppo tempo anche i Paesi del patto Atlantico non hanno fatto, rifiutandosi di guardarli e voltandosi dall’altro lato, in primis proprio il nostro.
Io penso che la soluzione al conflitto possa arrivare solo dalla Russia stessa. .